L'arte di scrivere d'arte 2020
Quattordicesima edizione dialogo a più voci
sabato 19 settembre 2020 |
10:00 |
Auditorium Lino Zanussi
Centro Culturale Casa A. Zanussi Pordenone |
Clicca per ascoltare
la videointervista a Nicola Gardini
CONVEGNO APERTO
Il dialogo a più voci sui caratteri di stile e i problemi di comunicazione della critica d’arte, ideato e condotto dal critico d’arte Fulvio Dell’Agnese, raggiunge la quattordicesima edizione. Quest’anno il discorso viene affidato all'intervento di Nicola Gardini, scrittore e professore di Letteratura italiana e comparata, Università di Oxford.
Apertura ore 10.30
Maria Francesca Vassallo
Presidente Centro Iniziative Culturali Pordenone
Introduce e modera
Fulvio Dell’Agnese, storico dell'arte
NICOLA GARDINI
Istruzioni per dipingere
Insegna Letteratura italiana e comparata all’Università di Oxford ed è Fellow di Keble College.
È autore di romanzi, saggi, raccolte poetiche e numerose traduzioni dal latino, dal greco e dall’inglese. Nel 2012 ha vinto il Premio Letterario Viareggio-Repaci per il romanzo Le parole perdute di Amelia Lynd. Collabora con «Robinson», l’inserto culturale di Repubblica.
Tra i suoi lavori più recenti di saggistica, si possono ricordare Lacuna. Saggio sul non detto (Einaudi, 2014), Con Ovidio. La felicità di leggere un classico (Garzanti, 2017), Le 10 parole latine che raccontano il nostro mondo (Garzanti, 2018) e Rinascere. Storie e maestri di un’idea italiana (Garzanti, 2019). Tra i romanzi, La vita non vissuta (Feltrinelli, 2015) e Fauci (Feltrinelli, 2013).
Nel campo della poesia, si ricordano le raccolte Stamattina (Ladolfi, 2014), Tradurre è un bacio (2015), Il tempo è mezza mela (Salani, 2018), Istruzioni per dipingere (Garzanti, 2019).
Ha tradotto dall’inglese opere di W.H. Auden, Emily Dickinson, Ted Hughes, George Orwell, Charles Simic, Virginia Woolf; dal latino e greco Catullo, Marco Aurelio, Ovidio.
Nicola Gardini è anche pittore. Dipinge prevalentemente a olio, su tela e su cartone.
Il dipinto è il pittore
Partiamo dall’immagine di copertina: è la Biennale d’Arte 2019, all’Arsenale, e le pagine dilavate di centinaia di quaderni sono disposte su un vasto piano inclinato, silenzioso come un sacrario, quali esanimi relitti di un naufragio. Nell’installazione Written by water l’artista portoghese Marco Godinho prende a prestito la dimensione visiva dello scrivere – anzi, in questo caso la sua scomparsa, lo sbiadirsi dell’inchiostro fra le onde – per riflettere sulla precarietà della condizione umana e sul fluire della memoria (interessante epilogo – tra gli infiniti individuabili – di un’arte che con feroce ironia Duchamp spinse a cibarsi dell’oggetto in quanto tale, rinunciando alla manuale sublimazione della materia in dipinto o scultura, e che da allora spesso ha chiesto alla parola – facendone lo scheletro della costruzione visiva – di restituirle il coraggio della metafora).
Nel suo campo, anche Nicola Gardini ci racconta l’esperienza di qualche deriva («Bambino ho visto, per esempio, ancora / in vita qualche idea / […] gli editori fare editoria / e i libri comperarsi in libreria»), ma soprattutto frequenta con costanza il ciglio fertile seppur cedevole che collega testo letterario e immagine artistica.
Basterebbero a provarlo i suoi studi sul grande autore latino che fu modello insuperato di narrazione del mito (Con Ovidio, 2017), le cui Metamorfosi hanno per secoli nutrito l’immaginario degli artisti e su cui “L’Arte di scrivere d’Arte” concentrava la propria attenzione non più tardi di un anno fa. Con il volumetto Istruzioni per dipingere ad uscire allo scoperto è però un diretto e personale legame di Gardini con il processo delle arti visive, espresso nel libero scorrere dei versi. Il titolo, quindi, non inganni: come la precedente raccolta Il tempo è mezza mela (2018), che recava in sottotitolo una frase ironicamente in bilico fra intuizione soggettiva e intenzione didascalica (“poesie per capire il mondo”), anche Istruzioni per dipingere non è certo un trattato in rima, bensì una raccolta di poesie composte da uno scrittore innamorato della pittura. Un autore che non vincola a stretti limiti settoriali le proprie considerazioni culturali; tanto è vero che nel suo saggio Rinascere. Storie e maestri di un’idea italiana (2019) non deve forzare il suo modus operandi per definire «un Picasso della parola» il grande poeta del ‘400 Agnolo Poliziano, dalle cui viole – cantate in elegia – derivano probabilmente quelle che nei propri versi (Stamattina, 2014) Gardini ricorda di aver dipinto nel loro «contorno d’ombra».
Per il pittore-poeta il rapporto con la natura è appagante, ma – scrive Gardini – «non l’avrei allungato neppure di un secondo». «E non vedo di più se mi avvicino». Forse perché compito dell’artista visivo come del letterato non è quello di restituire un’immagine rigorosamente dettagliata del reale: come scrive Charles Simic – grande poeta che Gardini ha tradotto – «Al sole non piacciono le ambiguità, / ma a me sì. Apro la porta e le lascio entrare».
Al suo lettore apprendista – come fosse un maestro di bottega d’altri tempi – lo scrittore raccomanda inoltre economia di mezzi: «E, dipingendo, togli in abbondanza. / Guadagno è il vuoto». Pare un richiamo a quanto Gardini scriveva nel suo saggio Lacuna (2014), in riferimento al non dire dantesco o alla essenziale, necessaria discontinuità del testo letterario: «L’illusione prodotta dalla lacuna va intesa come “intuizione”» in un processo di «conoscenza letteraria […] che pretende di arrivare alla verità».
Il discorso si fa difficile? No, difficile a questo punto è non addentrare lo sguardo nella pittura di Gardini. E, anche se spiate dal buco della serratura – cioè al computer –, le opere confermano la sensazione di ariosa luminosità delle poesie, la convinzione del poeta che «l’arte, mio critico, è l’artista / che si trasforma il cuore» mentre evoca un silenzio a due in riva al mare, fa piovere il rosso vivo di un albero sul prato o cerca di «dare buio al bosco», senza illudersi che a un bianco fiore non corrisponda mai un nero profondo «nel centro del dolore».
Alla fine, dai versi non emerge un ritratto dell’artista soddisfacente per l’ufficio passaporti. Sì, «Il dipinto è il pittore, / qualunque sia la cosa / che sulla tela resta»; ma rimane soprattutto la sensazione che egli sia chi, non diversamente dal poeta e con una sana dose di understatement, «entra ed esce dal vuoto come un pesce».
Fulvio Dell'Agnese