L'arte di scrivere d'arte 2010
Quarta edizione
venerdì 18 settembre 2009 |
9:30 |
Auditorium Centro Culturale Casa A. Zanussi Pordenone |
Apertura
Maria Francesca Vassallo
Presidente Centro Iniziative Culturali Pordenone
Introduce e modera
Fulvio Dell’Agnese
Storico dell'arte
Interventi
- L’arte nella frase
come scrittura, collezionismo e arti visive
Possono convivere nelle pagine di un romanzo
Hans Tuzzi
Scrittore
- Gli artisti sanno quello che fanno?
Fare arte, pensare l'arte
Nicoletta Salomon
Scrittrice, Pittrice
Ingresso gratuito
L'ARTISTA è INDIZIATO
Partiamo da una nota di domestica banalità: io tengo i polizieschi nello stesso scaffale dei testi di storia e critica d’arte. Così Hans Tuzzi sta accanto a Rex Stout e a Simenon, in un duello di trame pervase d’ironia e capaci di livide sospensioni; ma pochi centimetri lo separano anche – la fila sotto – da Arcangeli, Baxandall e Gombrich, cui lo avvicinano finezza estrema di scrittura e metodo d’indagine.
Storia vecchia – si dirà – quella dei paralleli fra ricerca critica e procedimento investigativo, la cui spiegazione modello venne messa nero su bianco da Carlo Ginzburg in Miti. Emblemi. Spie.
Nelle indagini del commissario Melis, tuttavia, si va oltre: lo sguardo del poliziotto o del narratore si fa spesso interno al problema dell’opera d’arte e agli intrecci che la legano alla società – nel caso specifico quella dei primi anni ottanta, in cui si andava preparando con
l’impercettibile progressione d’una malattia l’Italia di oggi –. Pagine intere o veloci staffilate gettano luce, al tempo stesso affascinata e tragica, alla Hopper, sul mondo del collezionismo, dei mercanti d’arte, dei rituali connessi alla produzione e al consumo della cultura.
E se alle spalle di un personaggio d’affaristica arroganza – che compra arte “tra una riunione e l’altra” – una serigrafia di Warhol si staglia a ostentare certezze di facciata, per altri rimane luogo all’emozionata scoperta, nel dettaglio d’una cesta di vimini dipinta nel ‘500 da Patinir, di “un compendio di eternità”; senza che mai in Tuzzi sia dato di
percepire stacco d’attendibilità fra realismo narrativo ed intenzione critica, per quanto – o forse proprio in quanto – dovuta a uno sguardo trasversale, che affonda con l’angolazione di una lama esperta nelle fibre intrecciate della bibliofilia, del romanzo, della storia dell’arte.
Come in fondo accade pure con Nicoletta Salomon, la quale ai problemi di estetica e all’analisi del rapporto fra immagine e parola arriva da una strada – lo studio del pensiero classico, accostato all’esperienza diretta della creazione artistica – che somiglia ai
sentieri disegnati da Pikionis per l’ascesa all’Acropoli di Atene, che ti si snodano sotto i piedi ricomponendo frammenti di materiali di scavo a suggerire memoria visiva dell’antico, preparando all’incontro con quanto “tocca le profondità della vita immaginale”.
Così si sarebbe espresso Roger Fry, il critico e pittore che la Salomon ha acutamente indagato curando l’edizione italiana del suo magnifico testo dedicato a Cézanne (1927), in cui la coscienza materiale dell’atto creativo dà corpo ulteriore alla lucidità dello storico nel contemplare l’“assertività disperata” del grande maestro.
È sul filo di simili, inquiete e rigorose esplorazioni che riemergono interrogativi centrali per il dialogo su L’Arte di Scrivere d’Arte: a che grado si spinge la consapevolezza dell’artista riguardo alla verità esistenziale della propria mimesis, del suo “potere di perturbare” valicando la soglia fra apparire ed essere? E in che misura lo sguardo
esterno della critica può darne conto, o addirittura siglarne il compimento, condividendo in parte la capacità dell’immagine artistica – “non imitazione degli oggetti della vita, ma della vita stessa” – di generare?
Un personaggio di Tuzzi afferma che “oggi i critici sono come valigie in un mondo di plastiche”, un mondo in cui l’estetica rischia di resuscitare pericolosi bagliori di etica sopita, tizzoni di pensiero che covano sotto la cenere; ma allora anche artisti e critici potrebbero meritare le parole dedicate da Nicoletta Salomon a poeti e filosofi: “sono ambigui, condividono la natura ancipite di chi percorre la via che getta ponti all’altrove”.
Fulvio Dell'Agnese, storico dell'arte