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La città promessa

Bruno Chersicla
383° mostra d'arte

da sabato 19 aprile a domenica 1 giugno 2008
Galleria Sagittaria
Via Concordia 7 - Pordenone
Inaugurazione sabato 19 aprile 2008, ore 18.30
presso la Galleria Sagittaria del Centro Iniziative Culturali Pordenone

Intervengono Luciano Padovese e Giancarlo Pauletto

“La città promessa”, il titolo proposto da Bruno Chersicla per la sua mostra presso la galleria Sagittaria, è stato accolto dal Centro Iniziative Culturali con totale adesione, perché è subito apparso precisamente indicativo di alcuni elementi - di cultura e d’esistenza - tipici dell’artista, tali da costituire un utile accostamento alla sua arte, e quindi anche a questa ampia e impegnativa mostra pordenonese.

La città, infatti, balza immediatamente agli occhi come contesto urgente e “totale” del lavoro di Chersicla, sia che egli componga le sue strepitose “figure” di legno, semplici e barocche nello stesso tempo, sia che dipinga strade ponti edifici navigli, sia che disegni gatti o motociclette, corvi o giocatori, amanti o quartieri suburbani.
C’è forse, qui, da riconoscere un dato di “triestinità” nell’autore, il fatto di essere nato, di aver studiato e di essersi riconosciuto nel destino dell’artista – cioè di un uomo che lavora, contemporaneamente, con l’intuizione e con la cultura – in una città come Trieste che ha un rapporto indiretto con la natura, che non può considerare “natura” neppure il suo mare, così trafficato e percorso da barche, battelli, bastimenti e mercantili, oltre che vele di tutte le dimensioni; che ha, d’altra parte, una conformazione come di conca e cuna, presa com’è tra acqua e montagna; e variamente percorsa da diversi stili architettonici tuttavia confluenti in una “personalità” inconfondibile.

Come accade, peraltro, in certe “Città della mente” che il nostro autore disegna e dipinge, in cui l’allusione architettonica può andare dal romanico al bizantino, dal neoclassico al postmoderno, mentre mantiene sulla carta o sulla tela tutta l’unità della sua ideazione.
E d’altra parte – per restare ancora dentro questa possibile radice “esistenziale” dell’arte di Chersicla – come non citare, a riprova, anche un altro creatore così profondamente determinato dalla città, e dalla città di Trieste in particolare, cioè Umberto Saba: non per stabilire dei rapporti difficilmente argomentabili sul piano dei linguaggi, ma per ribadire, appunto, questa idea della città come fondamentale ambito e sorgente d’arte.
Ciò che d’altronde viene facilmente confermato anche da un rapido esame delle fonti culturali del nostro autore, che sono naturalmente diventate in lui carne e sangue e che non è difficile riconoscere – ci esprimiamo in termini generali - nel futurismo, in certo cubismo, in certa metafisica non lontano dalla quale sono collocabili anche suggestioni provenienti da Klee, e magari da Kandinskij.
Futurismo e cubismo sono culture totalmente “cittadine”, nelle opere e nelle dichiarazioni teoriche e basta qui, senza dilungarsi, ricordare Boccioni o, ancor più, Sant’Elia o Depero, vicino a Delaunay, alle città immaginarie di Klee, alle geometrie di Kandinskij.
Ma poi, naturalmente, De Chirico e l’ambito della metafisica: dal quale Chersicla può accogliere impianti, tagli, suggestioni, e questo anche per le sculture, il tutto però venendo da lui volto in termini di immaginosa, spesso giocosa fantasia, tralasciando invece la parte, per così dire, allusiva dell’area sunnominata.
Il fatto è che tutto il lavoro di Chersicla appare come investito da una grande onda di vitalità positiva, di volontà creativa, anche di vera e propria allegria che l’ovvia consapevolezza delle contraddizioni, delle miserie e del mali umani non travolge e non spegne: ed è qui che prende ragione e si giustifica il secondo lemma del titolo proposto dall’autore, quel “promessa” che non può non richiamare la biblica “terra promessa” e che, giustapposto a “città”, diventa un’aspirazione profonda, diventa, nonostante le innumerevoli smentite cui è quotidianamente sottoposto, una sorta di programma di lavoro che è contemporaneamente estetico e morale.
La “città promessa” è quella che non bisogna stancarsi di ipotizzare nell’arte, ed è anche quella che non bisogna stancarsi di tentar di realizzare nei fatti: proponendo, discutendo, testimoniando oltre ogni possibile delusione o smentita o negazione.
E’ un grande tema culturale quello che Chersicla globalmente pone con il suo lavoro, e noi possiamo riconoscerlo nei singoli ambiti della sua creatività, nei “temi” che egli ama affrontare serialmente, insistendo su essi anche a distanza di tempo: con passione, con ironia, con allegria, con una voglia che non demorde.
E’ in questa città “promessa” – metaforicamente ricostruita, oggi, nella mostra di Pordenone – che noi incontriamo le sue “figure”, i personaggi, gli straordinari “oggetti”, che fanno la città – e citeremo qui solo la folgorante, fantasmagorica motocicletta, sintesi di tutte le “meraviglie” del vivere cittadino; c’è poi, di questa città, la “rappresentazione”, gli aspetti topici e metaforici, l’architettura e gli ambienti.
Troviamo gli artisti, gli scrittori, gli architetti, ma anche tante persone diverse una dall’altra e inesauribilmente ricche nella loro diversità; troviamo gli amanti e i complessi rock, gli aereoplani che ci volano sulla testa e i motociclisti, le navi nel porto e i giocatori attorno ad un tavolo, chi porta a spasso il cane e chi gioca a basket.
La città, insomma, è il mondo della varietà e dell’invenzione, comprende il passato e il presente mentre determina il futuro, la città di Chersicla è tutto questo e inoltre è un insieme di miti culturali che sono per l’artista continuo stimolo creativo.
Ecco il “Pittore e la modella”, lei nella naturale perfezione, giustappunto, del suo corpo da modella, lui con il busto costruito secondo lo schema formale di una tavolozza - nomen omen –; anzi, di una duplice tavolozza, quella infilata al dito e quella identificata dal giro delle spalle e del braccio levato a dipingere, mentre il volto si volge verso il suo oggetto con un’attenzione nettamente sottolineata dall’andatura del profilo, dal taglio di occhi e bocca.
Poco lontano, il “Collezionista” se ne parte con il quadro a lungo vagheggiato, e mentre le gambe procedono, il busto è ancora girato in una sorta di saluto, quasi a scongiurare un possibile ripensamento del pittore che glielo ha venduto. In disparte, Giacomo Balla, con pipa e fumo, porta a spasso il suo cane, certo il più celebre cane futurista.
Sono figure di legno ad altezza naturale, tenute in piedi, a filo di terreno, da un semplice sostegno metallico; sono personaggi, non statue, sono piuttosto congegni teatrali – non per nulla Chersicla è anche scenografo, oltre che designer – costruiti con grande attenzione spaziale e, per così dire, meccanica. Sono infatti figure che si possono scomporre e ricomporre, facendole ruotare su perni appositamente progettati in modo da essere “assorbiti” dalla forma, diventandone elementi strutturali.
Ed è, questa possibilità, un elemento di “gioco” null’affatto giustapposto all’idea, ma anzi sua parte costitutiva, se è vero che l’arte del nostro autore ha una essenziale componente di avventura, fantasia, ironia. Se è vero, inoltre, che l’arte è progetto, non ripresa, non imitazione: tanto che anche il colore si guarda bene dal coprire il legno, dal mascherare la struttura: perché appunto il progetto, il lavoro mentale, deve essere sempre riscontrabile nell’opera.
Carlo Scarpa, Paul Klee, Franz Kafka, Pier Paolo Pasolini e poi lo strepitoso Hemingway seduto al tavolino: sono tutti personaggi del nostro immaginario culturale che, assieme a molti altri realizzati da Chersicla – naturalmente non tutti visibili in questa mostra – esibiscono un senso duplice, ma concretamente identificato nell’unico “oggetto” artistico che ci viene presentato: il ritratto, appunto. Il quale è insieme rimando al mondo di idee che ciascuno di questo personaggi rappresenta - vero e alto orizzonte della “città promessa” - e insieme risultato estetico, condensazione fantastica e addirittura lirica di un accostamento – commosso io credo - a persone che hanno parlato e agito anche per noi e che qui, in queste rappresentazioni acute e originali, vengono messe alla nostra portata nel momento stesso in cui ne viene riconosciuta ed accolta l’eccellenza culturale.
Come? Ma naturalmente facendone dei “monumenti” piccoli, maneggiabili, busti senza prosopopea, icone certo, ma senza la lontananza di una sacralità che non ha ragione di essere dentro il perimetro della comune umanità.
E poi ci sono, nella città promessa, le persone qualunque, tutte da riconoscere nella loro particolare originalità.

Sono i “Ritratti della mente”, figure scomponibili, o fisse, o disegni creati nello schema del busto visto di fronte, ognuno diverso dall’altro non solo nel colore, ma nell’insieme di “forme” che si addensano su quello che sarebbe il volto, quadrati, triangoli, rettangoli, trapezi, forme curve e forme a punta, forme sottili e forme più larghe, che talvolta accennano a occhi, a nasi, a bocche ma che sono sostanzialmente il modo scelto dall’artista per dire, di ciascuno, l’indefettibile diversità e originalità. Oggetti affascinanti per bellezza di composizione e di cromia.

E poi, come altro blocco di opere – ma la mostra è in realtà più varia di quel che noi andiamo qui, anche per ragioni di chiarezza, schematizzando – citeremo appunto le “città della mente”, disegni e pitture in cui Chersicla esprime le sue topografie ideali, le città varie, armoniche e giocose che sono nella sua immaginazione.
Ecco un aereo coloratissimo che vola sopra architetture tra arcaismo e postmoderno, con cenni di novecentismo e razionalismo; ecco il castello in cima alla collina cui conducono architetture di ordine sostanzialmente decorativo, inutili se non per la gioia degli occhi; ecco un altissimo ponte su cui corre un treno, uno ziggurat, un campanile a cipolla e un monumento su una piazza quadrettata; e così via, secondo una serie innumerevole di variazioni, nella cui logica stanno anche le “cartoline di viaggio”, missive disegnate che Chersicla prepara in rapporto a viaggi e città che ha visitato o visiterà, e di cui manda poi un esemplare ai fortunati destinatari.
Sono lavori di sempre varia e felicissima presenza, toccati dal profumo della fantasia e talvolta della favola, esempio concreto di una cultura che si sa continuamente trasformare in invenzione: per salvare la speranza.
Giancarlo Pauletto


La mostra con ingresso libero, sarà aperta fino all'1 giugno 2008, da lunedì a sabato, dalle ore 16.00 alle 19.30; nei giorni festivi dalle 10.30 alle 12.30 e dalle16.00 alle 19.30. Chiuso i giorni 25 aprile e 1 maggio 2008.

Catalogo in Galleria

Per informazioni sull’esposizione e per le iscrizioni ai laboratori, telefonare allo 0434 553205

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