Nata_Quidditas
377° mostra d'arte
da martedì 17 aprile a domenica 20 maggio 2007 |
Galleria Sagittaria
Via Concordia 7 - Pordenone |
Da tempo l’artista ha studio anche a Codroipo, e ha prodotto negli ultimi tempi varie mostre in regione e nel vicino Veneto (Trieste, Villa Manin di Passariano, Udine, San Donà di Piave etc).
Alla Galleria Sagittaria Nata è stato presente, alla fine del 1998, dentro la non dimenticata mostra “Segni del Sacro”, una rassegna che indagava il rapporto tra arte e una moderna idea della sacralità esponendo opere dello scultore milanese Vincenzo Balena, di Augusto Cernigoj, Elio Ciol, Tonino Cragnolini e di Nata medesimo, di cui erano allestite alcune tele “nere” di forte impatto emotivo.
La presente rassegna indaga il lavoro degli anni recenti, segnato nel suo complesso da una sorta di ariosa leggerezza, che dispone l’alfabeto della pittura – segno, macchia, spazio, campitura, tocco, linea, varianti cromatiche – secondo una libertà che ha come unico limite un sapere compositivo elaborato negli anni di lavoro, il quale costituisce la griglia sotterranea che sostiene impulsi, partenze, occasioni di pittura ricche di varietà e contaminazione, facendone della pittura medesima una sorta di viva metafora di se stessa.
Scrive Giancarlo Pauletto, curatore della mostra : “il piacere del gioco, della danza inventiva, della ricca decorazione sembra prevalere su ogni altro intento: è una pittura che è felice di se stessa, e può esserlo, perché la densità della sua storia e l’acquisita sapienza dei suoi strumenti la garantiscono nella sua forza d’attrazione”.
La rassegna, accompagnata da catalogo che testimonia e documenta vari lavori inediti, rimarrà aperta fino al 20 maggio con i seguenti orari: feriale 16.00-19.30; festivo 10.30-12.30 16.00-19.30. Chiuso i giorni 25 aprile e 1° maggio.
Sono previste visite guidate e laboratori per le scuole.
La varietà di impatti visivi, cui questa mostra di Nata sottopone lo spettatore, non può essere semplicemente messa in conto alla libera vitalità della ricerca del pittore, come se non fosse essa stessa un elemento su cui riflettere, il dato incontrovertibile di una necessità cui egli è pervenuto attraverso delle motivazioni, attraverso cioè un percorso, anche se non è necessario che questo percorso sia completamente chiaro e scelto nella consapevolezza.
E’ difficile infatti che questo avvenga, perché è difficile che, nella concretezza dello svolgersi della vita e del lavoro quotidiano, un artista possa pervenire ad una così chiara trasparenza a se stesso, che gli permetta di motivare passo passo tutto ciò che fa.
Succede anzi, e spesso, il contrario: che cioè la necessità, l’impulso che costringe a determinate scelte possa venir spiegato solo più tardi rispetto al momento in cui esso s’innesta nel lavoro, e ciò perché il suggerimento, l’idea, la concatenazione visiva che fa partire le opere appartiene ad una complessità psichica che si può dipanare solo nella lenta e meditata messa a punto che interviene più tardi, quando tutta una serie di dati è messa a disposizione di chi guarda e controlla, sia esso l’artista medesimo, sia – e forse per costui con minor difficoltà, dato il distacco con cui può operare – un lettore che si impegni con attenzione nel lavoro di decifrazione.
Varietà di impatti visivi, si diceva.
Si va infatti da immagini dentro le quali si può leggere una memoria della pittura segnica attorno al ’60, con qualche sia pur larvato rimando a una partenza naturalistica, ad altre opere in cui il suggerimento tachista per un verso, o più generalmente informale dall’altro sembra costituire il sempre fascinoso - per un pittore che ha la storia di Nata - punto di partenza; vi sono poi, più recenti, le “Dicotomie” e le “Hybris”, opere costruite mediante l’assemblaggio di pezzi di stoffa preziosamente decorativi con pezzi di pittura che ora sembrano contraddire la progettata perfezione del tessuto, mediante l’accostamento di tracce nere piene di precaria temporalità , ora invece sembrano mettersi in concorrenza con esso, andando a costituire, a lato, una sorta di parallelo pittorico di quella perfezione, ma più mosso, più vibrante, quasi un’affermazione di superiorità della pittura come gesto mai bloccato da una meccanicità quanto si voglia raffinata.
Le “Dicotomie” precedono la serie recentissima intitolata “Quidditas”, in cui si riduce di molto lo spazio lasciato al tessuto, che diventa qui semplice rimando d’ordine geometrizzante, e la pittura che sopravviene e domina ha l’aria di uno sviluppo di tema suggerito dalla fascia di tela, come una melodia molto semplice può diventare la fonte di una serie più o meno complessa di variazioni. “Quidditas”, dunque, non in senso generico, non perché queste opere sono pur una “qualche cosa”, ma in senso proprio, se il termine è riferito - come appunto nel linguaggio della filosofia medioevale da cui è tratto – all’essenza, in questo caso alla dichiarata essenza di una pittura che è puramente se stessa, che non vuol caricarsi di sensi altri rispetto a quelli che nascono all’interno del gioco dei suoi elementi costitutivi. La pittura come metafora in sé, non in virtù dei contenuti che possano riempirla.
E’ chiaro che ci potrà essere, rispetto alle varie serie di opere che Nata denomina diversamente, maggiore o minor consentimento da parte di chi guarda, a seconda del livello d’emozione nel quale ognuno si sentirà toccato.
Per quanto mi riguarda, è soprattutto tra la serie delle “Dicotomie” che trovo i risultati di maggior fascino, e se cerco di spiegarmene le ragioni al di là della puro, immediato consentimento visivo – che, naturalmente, è dato essenziale – credo di dover mettere in evidenza il felice equilibrio rilevabile tra elemento decorativo ed elemento espressivo, il primo identificato nella parte costituita dalla stoffa, il secondo nei brani di pittura che finiscono per coinvolgere il tessuto medesimo in una “forma” definitiva che supera il livello, pur di per sé ragguardevole, del gusto...
Giancarlo Pauletto