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Sala Stampa

SI INAUGURA SABATO 1 OTTOBRE A SESTO AL REGHENA
NELL’ABBAZIA DI SANTA MARIA IN SYLVIS

 

I FANTASTICI SCATTI DEL VIAGGIO ARMENO DEL GRANDE FOTOGRAFO PAESAGGISTA (76ENNE ALL’EPOCA DEL REPORTAGE, NEL 2005) SARANNO VISITABILI FINO AL 13 NOVEMBRE. LA MOSTRA DI SESTO AL REGHENA, CON L’ESPOSIZIONE “GEMELLA” DEDICATA A ELIO CIO, CHE SI APRIRA’ A S. VITO AL TAGLIAMENTO, INTEGRA IL CARTELLONE DELL’EDIZIONE 2016 DEL FESTIVAL INTERNAZIONALE DI MUSICA SACRA DEDICATO A “DA NORD A SUD DEL MONDO. LA FEDE DEI POPOLI”.


PORDENONE – Un progetto culturale intessuto fra vestigia del mondo e contemporaneita’, fatto di arte, fotografia e musica: un evento che esprime l’urgenza di ‘materializzare’ ponti e network fra latitudini estreme del pianeta, affiancando popolo a popolo nel costante fluire dell’umanita’. Da queste premesse nasce la nuova edizione del Festival internazionale di Musica Sacra promosso da Presenza e Cultura con il Centro Iniziative Culturali di Pordenone: un grande cartellone autunnale che come sempre attraversa diversi linguaggi, oltre a quello piu’ specificamente musicale. Due esposizioni ‘gemelle’, concepite nel segno del grande fotografo paesaggista Elio Ciol, sono chiamate a integrare un percorso che ci guidera’ attraverso il tema “Da nord a sud del mondo. La fede dei popoli”, traccia guida del Festival in questo 2016.
Sabato primo ottobre, innanzitutto, nella splendida Abbazia di Santa Maria in Sylvis a Sesto al Reghena sara’ inaugurata – alle 17 - la mostra “Elio Ciol. Il canto della pietra. Armenia 2005”, che raccoglie una quarantina di scatti raccolti nel 2005 dal grande fotografo paesaggista, allora 76enne. «Sara’ questa sua sacralità non esibita – spiega la presidente CICP Maria Francesca Vassallo - senza effetti speciali, che scioglie alberi e colline tra le nebbie in spazi senza confini, che va a cercare anche in Paesi lontani segni e significati in muri, pietre, case e chiese, a siglare idealmente l’avvio della 25^ edizione del Festival Internazionale di Musica Sacra. Un richiamo ai valori presenti in ogni cultura, ieri e oggi, attraverso la musica, l’arte, la storia, in un progetto molto articolato che coinvolge con presenze e collaborazioni importanti istituzioni del Friuli Venezia Giulia e di altre regioni che si affacciano al Nord come pure ad Oriente e sul Mediterraneo. Una scelta che ci porta all’attualità, dove i conflitti stravolgono e distruggono, mentre cresce a dismisura l’urgenza di pensieri solidi e azioni costruttive. Ci siamo affidati a Elio Ciol e al suo sguardo che, dal Friuli Venezia Giulia, ha seguito le tracce trasfigurate del sacro nei tantissimi luoghi da lui scelti e percorsi. Come in Armenia con le sue croci, ora visibili a noi in Sesto al Reghena. E come nella mostra “Nel soffio della storia”, che sarà a San Vito al Tagliamento». “Elio Ciol. Il canto della pietra. Armenia 2005” restera’ visitabile fino al 13 novembre (con ingresso libero, da venerdi’ a domenica in orario 10/12 e 15/18. L’evento e’ promosso con il Comune di Sesoto al Reghena e inoltre in collaborazione con la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia. Alla vernice del primo ottobre interverranno, con l’artista Elio Ciol, il critico Giancarlo Pauletto e la presidente CICP Maria Francesca Vassallo.
Info www.centroculturapordenone.it/cicp tel 0434/553205,

Le immagini di Elio Ciol sono solo parte di un ampio lavoro elaborato durante il viaggio del 2005 in Armenia: ben sufficienti, tuttavia, a coinvolgere lo spettatore nel fascino e nell’ancora attuale vitalità di un’antica cultura cristiana, creatrice di straordinari capolavori di architettura e scultura. Elio Ciol, maestro indiscusso della fotografia, è vincitore di ben due Premi Kraszna Krausz a Londra, nel 1992 e 1996. Tre sue stampe sono inoltre catalogate nella collezione del Metropolitan Museum of Art di New York: “Ombre sul Meduna” (circa 1955), “Neve a Povolaro” (1970) e “Colli di Castelnuovo” (1962). A commento del percorso di scatti ‘armeni’ scriveva l’archeologo Ermanno Arslan: “Percepii come il primo dato significativo per il visitatore fosse rappresentato dalla constatazione che nell’Armenia medioevale tutto è costruito con le pietre delle sue montagne, sempre con una precisa continuità visiva tra territorio ed edificio. Così la montagna diveniva chiesa o monastero, proponendosi come drammatica emergenza in drammatici paesaggi, con strutture che hanno il colore delle montagne e che paiono esserne parte integrante. Il colore caldo della roccia vulcanica, il medesimo delle pareti delle valli selvagge che incidono il territorio dell’Armenia, è onnipresente nella sua architettura, come a Garní, Noravank o Goshavank, e ne caratterizza il cromatismo”. Le croci scolpite, o khatchkar, sostanziano buona parte della mostra. L’Armenia aderì al Cristianesimo sin dai primissimi anni del III secolo, senza mai aver completamente soppiantato gli antichissimi culti pagani. Nel corso dei secoli successivi gli armeni resistettero a innumerevoli tentativi di conquista e assimilazione dall’esterno anche grazie allo strenuo attaccamento alla propria religione. Non mancarono tuttavia le sconfitte, e la croce diventò un rifugio e un baluardo. Si scolpirono croci ovunque e fiorì un’iconografia che, piuttosto che alla passione di Cristo, dava ampio spazio ai riferimenti alla resurrezione, con un’abbondanza degli elementi che si rifanno all’Albero della vita, quali i frutti del melograno e della vite, o il seme da cui ha origine l’Albero, raffigurato dal disco scolpito tradizionalmente sotto la croce dei khatchkar. Spiega il critico Giancarlo Pauletto che «le croci scolpite su colonne e pareti architettoniche, oppure isolate e poi come steli di cimitero oppure guida in salita ai luoghi sacri, sono tutte diverse, e di diversi tempi, dai primi secoli dell’era cristiana all’era moderna. Ogni croce indicava una presenza sostanziale, rappresentava un fedele materialmente presente, pellegrino a fronte del suo Dio, a chiedere ‘personale’ misericordia. Ogni khatchkar così costituiva un’identità sacrale, con la preghiera, per ciascuno diversa, riassunta nella croce, tramite di salvezza per tutti e per ognuno di noi. Ecco perché ognuna di queste croci, dalle più semplici alle più elaborate in stesura e raffigurazione, è scolpita con tanta attenzione e cura, fino a giungere, pur rimanendo entro lo stesso schema sostanziale, a rese straordinarie per complessità di composizione, tanto da proporsi come veri e propri, ricchissimi gioielli di pietra. Ciol è maestro nel mettere in evidenza, con il suo obiettivo, questa preziosità. Si veda per esempio il khatchkar “del Salvatore”, risalente al XVI secolo, o l’altro riferito al maestro Pogos (1291) presso la chiesa di San Gregorio l’Illuminatore, a Goshavank: incredibile lavoro di ricamo in pietra che in nulla cede ai più alti esempi di oreficeria dell’epoca».

Rassegna stampa

IlGazzettino_27set2016
MessaggeroVeneto_27set2016
IlPiccolo_27set2016
IlGazzettino 15nov2016

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