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Se vuoi essere felice

«Se vuoi entrare nella vita; se vuoi essere perfetto» ( Mt 19,17.21)
«Là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,21)
«Bada di mettere in pratica i suoi comandi, perché tu sia felice» (Dt 6,3)

Sogni progetti utopie. Nella crisi di un passaggio epocale, tra avvilimento e spensieratezza, ci deve essere la sapienza di saper sognare e nutrire progetti e sane utopie. Anche tracciare dentro noi e tra noi, ma per tutti, degli orizzonti, degli scenari alternativi a quelli che in concreto ci si trova a vivere. Alternativi a quelli di un mondo impegnato a produrre e consumare. In realtà, un piccolo mondo, anche se ormai tocca tutti i confini. Piccolo, occidentalizzato, progredito nel denaro: ma a scapito di tanti altri valori e pure della gran parte del resto del mondo. Per questo occorre coltivare l’utopia di uno scenario alternativo caratterizzato di comunicazione reale, umana, non di marca «turbo-capitalista». Uno scenario di «incontro» e non di scontro e/o concorrenza (che è la stessa cosa). Uno scenario di libertà e dialogo.
Operazione pressoché impossibile se non si opera la conversione a una nuova cultura: di maggiore attenzione alla persona, specie di quanti sono più deboli. Una cultura in cui conta così tanto la propria normalità, il proprio oggi, il proprio quotidiano (mio e di ciascuno) da incominciare la rivoluzione del mondo, nel segno dell’«umano» proprio dall’interno di ciascuno. Da qui il bisogno di partire da una conversione personale al positivo, alla vera libertà, alla gioia e voglia di vivere. E’ l’assenza o la debolezza di tale voglia che porta a idolatrare cose (o anche modelli di esistenza) che assomigliano agli dei del salmo: «Hanno occhi, ma non vedono; orecchi, ma non sentono», diventando gregari di ciò che vale infinitamente meno di noi.
Partire, quindi, dal cambiamento nell’io profondo, nelle coscienze di ciascuno diventa emergenza primaria. è a questo livello interiore che deve operarsi la sana metamorfosi dalle schiavitù da cui nasce la violenza. E la più subdola delle schiavitù è quella che talora (o spesso) si inocula come un fatto virtuoso. Anche dentro realtà – come le comunità dei cristiani o di altre confessioni religiose – in cui il bene può essere imposto in termini così opprimenti da farlo sentire mortificante. Il dovere come una condanna, non come una liberazione. In un tempo in cui ci si trova costretti da tutte le parti. Con la tentazione conseguente di buttarsi a capofitto in tale costrizione («cupio dissolvi»; la vertigine del vuoto; la tortura del fondamentalismo); oppure, fuggire in quello che appare il contrario del «dovuto»: la trasgressione; lo sballo per l’appunto

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