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Francesca Paola Casmiro Gallo

Terzo classificato - Sezione Senior

Migranti tutti

Parto per il Guatemala. «E dov’è il Guatemala? O maronna mia è dalle parti dello Zunami?». La televisione accesa, io e mia nonna sul divano, il fuoco che scoppietta nel camino. «Nonna non ti preoccupare non vado in Asia ma in America Centrale. Tranquilla». Prendo l’enciclopedia la apro e le indico il continente americano e quello asiatico. C’è un oceano grandissimo che li separa. Lei tira un sospiro di sollievo, si gratta la testa e una luce si accende sul volto: «Da quelle parti c’è il cugino Alberico, te lo ricordi? Venne quando avevi cinque anni, è il figlio della buon anima di Zio Nicola, mio fratello che se ne andò su una nave, dal golfo di Napoli lo salutammo e non lo verimmo chiuù». Dai nonna non piangere, quando arrivo stai sicura che lo chiamo, peccato che stia in Argentina magari in Patagonia e io vado in Guatemala. «Va be, figlia mia, da quelle parti sta».
L’abbraccio, il suo aroma è di pesca e rosmarino. Migranti tutti, penso.


Aeroporto di Ciudad de Guatemala. Accovacciate, ci sono decine di donne indigene, il loro vestito è ornato di figure mitologiche, i capelli lunghi e intrecciati con nastri colorati, vendono ai turisti braccialetti che loro stesse confezionano, alcune mangiano con le mani dei fagottini avvolti in larghe foglie di banana, ne esce un odore piccante e caldo, sono i Tamales. Cerchiamo un taxi, un uomo senza denti si avvicina e ci fa entrare in una macchina che ogni quindici minuti fa un singhiozzo strano. Baracche accanto a palazzi dall’architettura fascista, grattacieli e bambini scalzi che mendicano, acrobate ai semafori.
La città intimorisce, le discariche a cielo aperte, gli autobus assaltati, ma le montagne no, la Marimba, le comunità indigene nascoste, il bambino che porta a pascolare le pecore, io abiterò sulle montagne per un anno.
La notte di Natale la passerò in una casa di lamiera, circondata da campi di Mais, il camino acceso, il brodo di pollo, esco dalla casa e mi dirigo verso la latrina, un paesaggio lunare intorno a me, il ghiaccio sulle foglie, rientro infreddolita, il padre di Elmira dorme ubriaco, siamo tranquille ora, i fratellini giocano sporchi di terra, la mamma prepara quei fagottini caldi, i Tamales, sedute per terra chiacchieriamo; accanto all’albero addobbato aspettiamo la mezzanotte e ringraziamo Dio, il Cuore della Terra e il Cuore del Cielo.
Ora sono sulla costa, il caldo afoso di Tecun Uman, l’ultima città del Guatemala, un fiume è la frontiera, al di là c’è il Messico; miriadi di zattere lo attraversano, un uomo scalzo rema con un bastone di legno. Nella Casa del Migrante, uomini e donne dormono, domani partiranno, senza valigie, senza niente, guardo la luna, c’è silenzio, ricordo i volti uno per uno, arrivano dal Nicaragua, dall’Honduras, sono guatemaltechi, li osservo quando in circolo ci presentiamo, Stani, Daniel, Maria; i migranti hanno le ali, nei loro occhi c’è un paesaggio senza limiti, nei loro occhi cade la frontiera e si frantuma come un vaso di ceramica al suolo. Migranti tutti, penso.
 

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