Caterina Vianello
Secondo classificato - Sezione Senior
L’ho scelta perché mi pareva la destinazione più sensata, più logica. Da Venezia guardare verso Istanbul era normale, era un prolungamento fatto di storie di scambi commerciali e culturali, spezie e arte, religioni e mille nomi diversi. E nozioni imparate su volumi di storia.
Il fatto è che quando ci arrivi, ad Istanbul, la logica rimane nella parte europea della città. È una cosa di cui ti accorgi subito, nonostante osservatori internazionali e classe politica, accordi economici e giornalisti parlino di un imminente “ingresso della Turchia in Europa”. Istanbul non è né Turchia, né Europa, né tantomeno – come recitano sussiegosi i libri di storia – “un ponte tra due culture”.
È – semplicemente – un’identità a sé, un carattere, senza luogo né tempo. Te ne accorgi mentre ti immergi nel passo molle della folla a Beyoglu, mentre attraversi il ponte di Galata e l’odore del pesce fritto ti prende a schiaffi. Te ne accorgi se arrivi a sostenere lo sguardo degli uomini e delle donne, se riesci a superare una foresta di sopracciglia e zigomi che sono sentinelle in guardia.
Bisogna dimenticare il passato e la propria origine, se si sceglie Istanbul. Capire che si arriva e si trova la molteplicità, incomprensibile e tentacolare. Destreggiarsi tra vicoli fatti di una lingua gutturale e moschee che i turisti non riescono nemmeno a trovare sulla cartina, come una sorprendente Rustem Pasa Kamii, minuscolo gioiello nascosto tra le pieghe di un mercato di frutta e abiti.
Mi ero portata da casa i libri di Pamuk e il desiderio di capire, dopo aver studiato. Ho trovato una città che non è solo il suo scrittore, una città in cui la cultura ha la forma di caffè all’aperto incorniciati da cuscini colorati, la forma di gallerie d'arte e mostre fotografiche e musica suonata sui tetti. Istanbul mi ha lasciato con la convinzione che se ci fossi nata non accetterei l’idea di cambiare per essere come l’Europa, per “entrare in Europa”. Vorrei restare esattamente dove sono. Vorrei che fosse l’Europa a spostarsi. Per venire da me.