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Floriana Pelagi

Terzo premio ex-aequo

Stage nella tigre celtica
Il leggendario paese popolato da elfi e folletti, dominato dal silenzio quasi solenne dei suoi paesaggi fiabeschi, fonte d’ispirazione per poeti e letterati… l’Irlanda. Il viaggio in questa terra fa però emergere il volto inaspettato di un Paese vivace e brioso.

Se mi avessero chiesto un anno fa cosa pensavo dell’Irlanda, avrei risposto come prima cosa che è un paese dalla natura rigogliosa e incontaminata, dalle infinite colline erbose e dalle scogliere scoscese e ventose battute dall’oceano, un paese dal cielo che ora è limpidamente azzurro, ora invece può divenire tempestoso o punteggiato di nuvole bianche che risplendono alla luce surreale del Nord. Avrei continuato dicendo che la gente del posto è di certo molto ospitale, ma molto nazionalista, legata alle tradizioni e alla religione: mi immaginavo dei vecchietti parlare male degli inglesi in gaelico e fumare la loro pipa davanti alla tipica pinta di birra scura in un pub dalle pareti di legno, mi figuravo dei ragazzotti dagli occhi chiari, fieri e rissosi come Tom Cruise in Cuori ribelli, immaginavo bambini dai capelli rossi e dal volto tempestato di efelidi. Mi immaginavo un paese amante della cultura e della letteratura, il paese del Trinity College e di Joyce, Yeats, Shaw, Beckett, Swift, Wilde ed Heaney. Un paese ricco di ideali – il paese di Michael Collins – e di favole e leggende – quelle riportate nelle opere di Yeats: storie di elfi e di folletti, di creature fantastiche e dispettose che popolerebbero foreste e antichi luoghi sacri. L’Irlanda, terra dei celti, capaci di dar vita ad una cultura e ad una sensibilità artistica in grado di radicarsi e resistere nei secoli, ben oltre la cristianizzazione. L’Irlanda, nel contempo terra dalla quale durante il Medioevo partirono i santi, tra cui San Patrizio e San Brandano, per rievangelizzare l’Europa.
Ora, invece, so che le cose non stanno proprio così, o per lo meno non stanno più così, o soltanto così: sono appena tornata da uno stage di tre mesi trascorso a Dublino come traduttrice presso un’azienda specializzata nell’attività di “localizzazione”. Questa si è dimostrata un’esperienza unica, soprattutto per l’ambiente di lavoro assai giovane: eravamo circa una cinquantina di dipendenti, tutti al di sotto dei trent’anni, dediti al testing, al controllo di qualità e alla traduzione di videogiochi. L’atmosfera era del tutto informale e allegra, tanto che nella pausa pranzo potevamo rilassarci in una mensa allestita con intrattenimenti di ogni tipo e socializzare con ragazzi, molti dei quali informatici, provenienti da ogni angolo del pianeta.
Questa comunque è solamente la parte più evidente dell’incredibile progresso economico e tecnologico che sta attualmente interessando l’Irlanda, ora designata in tutto il mondo per il suo rapido sviluppo quale tigre celtica, ricordando da vicino la rapida crescita economica delle “tigri asiatiche” negli anni Novanta. La stessa Dublino, capitale europea popolata da giovani di tutte le nazionalità, vede coesistere a fianco dei palazzi storici nuovissimi edifici di cristallo e acciaio, sedi di banche e assicurazioni. Nel quartiere di Temple Bar, punto di ritrovo nei weekend, nuovissimi pub hi-tech affiancano i locali tradizionali: dopotutto ad essere servita e consumata è pur sempre la solita Guinness, che pare quasi essere metafora di quel tessuto connettivo che in Irlanda sembra legare indissolubilmente la novità e il progresso con la tradizione.
 

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