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Angelo Marino

Quarto classificato - Sezione Senior

Erasmus night fever

Avevo passato i giorni precedenti la partenza a pensare cosa potesse essermi utile e cosa invece sicuramente non sarebbe venuto con me. Avevo poi selezionato 15/20 kg di roba che avevo sistemato nello zaino che, con il computer come bagaglio a mano, costituivano il mio armamentario per il viaggio. Da quando l’avevo saputo, non avevo aspettato altro che il momento della partenza.
Ero impaziente che dopo quell’ora e mezzo di volo mi si aprissero le porte di quella che sarebbe stata un’esperienza indimenticabile.
Sul volo ricordo che facevo pensieri assurdi da quanto ero eccitato ed euforico. Pensavo a tutti i posti che avrei potuto vedere, a tutte le persone che avrei potuto conoscere, e anche al giorno in cui sarei tornato in Italia, magari tra anni, sposato e con qualche figlio.
Mi sentivo invincibile. Un eroe.
Mi piaceva l’idea di essere solo, diretto in un posto nuovo, in cui non conoscevo nessuno. Avrei potuto essere in tanti modi diversi da quello che generalmente ero a Bologna e m’impegnavo a immaginarmi in una maniera o nell’altra.
Del resto avrei potuto giocarmi ogni tipo di carta, avrei potuto reinventarmi una personalità o uno status sociale. Ricostruirmi da capo come meglio avrei voluto.
Il fascino di una nuova personalità era bellissimo, sconvolgente.
Vedevo sedute intorno a me persone straniere che, anche se non conoscevo, riuscivo a immaginare diverse nelle loro famiglie, con i loro amici.
Percepivo, però, a mala pena quale potesse essere la mia figura, la mia immagine agli occhi di tutte quelle persone nuove. Ero come un oggetto sospeso in aria, senza luogo, ma libero nelle mani di nessuno.
Osservavo il libro di Kerouac, “On the Road” che tenevo gelosamente nelle mani, quasi a darmi prova del mio livello intellettuale e ogni tanto, quando capitava di incrociare lo sguardo con qualche altro viaggiatore, lo spostavo leggermente in primo piano per farlo notare, con la speranza che qualcuno vedesse che razza di soggetto ero.
È strano, ma partire solo ti rende simultaneamente più responsabile e istintivo. Responsabile della tua irrazionalità.
All’arrivo ero distrutto dalla stanchezza ma cullato da mille pensieri, permeato da un senso di pace cosmica mai avvertito prima.
Ricordo che la notte, una volta sul letto, proiettato in quella nuova realtà, avevo studiato ogni angolo della mia nuova camera, convinto che anche attraverso ognuno di quei particolari sarebbe passato il mio destino.
Chissà cosa avremmo vissuto io e la mia nuova scrivania. Quanti ricordi tra dodici mesi avremmo avuto io e il mio letto. Quanti rimpianti io e il mio armadio.
Non ero più, né preoccupato, né timoroso. Volevo solo che arrivasse il mattino per dar finalmente inizio al mio anno di Erasmus.
 

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