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Anna Conzatti

Primo premio - Junior

La mia Parigi
Una Parigi insolita, quella di Anna. Lo scintillio delle vetrine degli Champs Elysées, la raffinatezza delle boutique dell’alta moda parigina e il luccichio dei bijou di Cartier lasciano la scena alla quotidianità. Quella che ci appare è una Parigi colta nei suoi aspetti più autentici, dove a volte emerge la multiculturalità, a volte l’emarginazione sociale.

Champs Elysées
Sta seduto lì, nell’indifferenza della gente che cammina avanti e indietro stupidamente, o con il capo chino illuminato di scorcio dalle luci del lussuoso palazzo Luis Vuitton che si erge maestoso. Io, ferma, osservo questo ragazzo che può avere vent’anni, mentre allunga un bicchiere di carta bianca a chiedere l’elemosina. Davanti a lui passano giapponesi, italiani, arabi. La sua dignità di uomo si abbassa; non osa alzare il capo, aspetta sotto un cielo plumbeo che qualcuno riempia quell’improvvisato salvadanaio. All’ombra dell’Arc de Triomphe sta seduto coperto da stracci rammendati, patendo il freddo della giornata e la fame, come testimoniano le sue gambe magre e il viso incavato. C’è gente che entra e che esce dai negozi, ma nessuno sembra accorgersi della sua esistenza, lui è come un fantasma vivente, morto per la società. Parigi non si accorge di questo ragazzo solo, che grida in silenzio il suo bisogno d’aiuto e il desiderio di rialzarsi da lì.

Mari de Montreuil - Pont de Sèvres
Sono circa le 20:30 quando prendo la linea del metrò per raggiungere la Tour Eiffel da Opera. “Mesdames et Messieurs bonsoir.” Bella accoglienza – penso - da parte del macchinista, ma decisamente inusuale. Intanto il suono macchinoso e “ferroso” è d’improvviso smorzato da La vie en rose, cantata e suonata magistralmente. Penso sia l’impianto radio del metrò e invece no, mi accorgo che poco distante da me una signora sulla cinquantina, con la vivacità di una ragazzina suona la fisarmonica intonando i versi della canzone francese. L’immagine è interrotta inaspettatamente da due giovani ragazze che salgono con un po’ di affanno. Una è sicuramente francese, l’altra parla il francese con un accento straniero, forse è marocchina. Si siedono, aprono la borsa: una ne estrae un paio di stivali, l’altra un paio di sandali tacco dodici. Con grande disinvoltura si cambiano la maglietta, indossano le calzature, prendono uno specchio dalla borsa, si pettinano, si truccano. Devono essere in ritardo. Scendono a Franklin D. Roosvelt assieme alla suonatrice-cantante che ha racimolato qualche soldo dai turisti stupefatti e saluta con un “Merci, au revoir.”

Tour Eiffel
È sabato mattina quando finalmente la vedo davanti ai miei occhi, dal Trocadero: la Tour Eiffel, in tutta la sua altezza e magnificenza. Scendo velocemente la gradinata che porta lungo la strada sottostante e d’improvviso un venditore ambulante africano, tentando di vendere una delle solite piccole riproduzioni della torre, ferma me e i miei genitori e prima che possiamo aprire bocca ci appella allegro: “Italiani! Campioni del mondo!”

Parigi è tutto questo.
Qui ho passato una delle più intense settimane della mia vita, tra le vie della città, lungo la Senna, tra Montmartre e il Quartiere Latino, alla scoperta dei sapori, delle immagini e dei suoni che essa regala, visitando musei (dal classico Louvre al più stravagante Centre Pompidou), circondata da gente di tutto il mondo. Straniera e un po’ parigina anch’io.

 

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