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Mina Carfora

Secondo premio ex-aequo

La “dama bianca” di Capo Verde
L’occhio attento e indagatore di Mina è l’occhio di chi vede, di chi solleva il velo dell’apparente paradiso e rende manifesto il dramma dei suoi abitanti. Capo Verde non è il microcosmo perfetto ricreato ad hoc dai villaggi turistici, è una terra che soffre nell’indifferenza di molti.

Dodici i chilometri di spiagge dorate e incontaminate; sei i chilometri dell’onda gigante a Ponta Preta; venticinque la media dei gradi che riscalda questo paradiso africano per tutto l’anno. Si fanno velocemente i conti a Sal, una delle piccole perle vulcaniche facenti parte dell’Arcipelago Capoverdiano. Amata dai surfisti per il suo vento, dai narcotrafficanti per la posizione strategica, dagli speculatori edilizi per gli spicchi di deserto a due passi dal mare e dagli uomini attempati, che sfiorito il seme della giovinezza, saziano ingordi appetiti con la fame del maschio adulto e ben pagante. A soli 500 km dalle coste senegalesi si erge Sal, luminosa e frizzante come i divertimenti che svende, misteriosa e contrastante come l’illegalità che nasconde. Attrezzata per ogni tipo di sport d’acqua, meta ideale per velisti, amanti del kitesurf, windsurf, skysurf, immersioni e centro nevralgico per lo smistamento della cocaina proveniente dall’America Latina. Dopo tremila miglia di viaggio, nascosta sotto le chiglie dei motoscafi, l’ex “droga dei ricchi”, giunge sulle coste africane per poi essere reimbarcata su pescherecci e piccole navi di cabotaggio dirette verso la Spagna e Portogallo. I narcos latinoamericani si sono insediati sul terreno fertile di un’Africa povera e corrotta, dove gli scarsi controlli alle frontiere nazionali facilitano lo spostamento della merce. Chi, più di tutti, ne paga le conseguenze è la popolazione dell’isola. I bambini vivono tra le meraviglie del mare e le sporcizie della strada. Chiedono qualche spicciolo ai passanti fingendo i crampi della fame ma nessuno muore di fame a Capo Verde, sono tutti poveri ma nessuno muore di fame e appena il fesso generoso volta l’angolo, si accendono i sorrisi ingenui e infantili di una sigaretta al crack fumata dietro i muretti bassi della Chiesa cattolica. La droga è democratica, non fa distinzioni di sesso, razza o età. Poi ci sono i villaggi, quella parte di turismo poco ecologico, poco abituato agli usi e costumi del luogo. Piccole città lussuose a tre, quattro, cinque stelle, in un andirivieni mensile di animatori. Le ragazze le sostituiscono perché restano incinte troppo facilmente. Non hanno notato, forse, il grande cartello alto e solitario che si erge all’ingresso di Santa Maria (il capoluogo) e avvisa: “Non discriminare chi è affetto da AIDS, però ricorda di usare il preservativo”, punto esclamativo. I ragazzi, invece, si fanno incastrare dal morso a denti stretti della cocaina, così faticoso da allentare. Gli operatori turistici si sentono minacciati, convincono gli ospiti a non uscire e per farlo si concedono il lusso di seminare paure e falsità nei loro orecchi abbrustoliti, profetizzando la presunta pericolosità del luogo, le rapine immaginate, le dicerie sugli scippi…
Sal, dal fascino tropicale e cristallino, non riesce a nascondere i pregi e i difetti delle sue acque trasparenti, brulicanti di pescatori e surfisti, pescecani e narcotraffici, coralli e onde alte come palazzi; nessuno avrebbe mai detto che persino qui sarebbe arrivata la “neve”.
 


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